Scalfari, il “senex” che detesta il pensiero irrefrenabile
Non vi è dubbio che la polemica tra Eugenio
Scalfari e Barbara Spinelli,
all’interno de “la Repubblica”, riesca a suscitare
un’attenzione che, da tempo ormai, nessun articolo critico del
giornale medesimo sulla classe dirigente, o sulla inidoneità di
tanti suoi interpreti politici, è in grado di sollecitare. La
faccenda sarà sufficientemente nota, e a poco servirebbe, dunque,
ripercorrerla qui con dovizia di particolari. In sostanza,
l’Eugenio immusonito, domenica scorsa ha
scritto: “(…) Intanto il fuoco dei cannoni da
strapazzo si concentra su Napolitano. Spara Grillo, spara
Travaglio, spara perfino Barbara Spinelli. Quest’ultimo nome mi
addolora profondamente.” Subito dopo, da par suo,
il senex imbronciato, dopo i complimenti di rito elargiti alla
brava giornalista, la rimbrotta in questo modo: “Sento
da tempo affetto e una profonda stima per Barbara, per la sua
conoscenza dei classici … ma conosce poco o nulla della storia
d’Italia quando scrive che la decadenza ebbe inizio negli anni
’70 del secolo scorso e perdura tuttora. (…) Cara Barbara,
ho letto nel tuo ultimo articolo che forse il grillismo
potrebbe essere sperimentato. E ho anche ascoltato i tuoi appunti
su Napolitano affidati alla recitazione di
Travaglio. Ti assicuro che da questo momento in poi
cancello dalla mia memoria quanto ho ora ricordato. Voglio solo
pensare il meglio di te a cominciare dal fatto che sei la figlia di
Altiero Spinelli. Ricordalo sempre anche tu e sarà il tuo maggior
bene.”
Barbara Spinelli, sobriamente e serenamente
replica: “Sono stupita dalle parole che Eugenio
Scalfari dedica non tanto e non solo alle mie idee sulla crisi
italiana ma, direttamente, con una violenza di cui non lo credevo
capace, alla mia persona.
Violento è infatti l’uso che fa di Altiero Spinelli, del
quale nessuno di noi può appropriarsi: chi può dire come
reagirebbe oggi, di fronte alle rovine d’Italia e dell’Europa
da lui pensata nel carcere dove il fascismo l’aveva rinchiuso,
e difesa sino all’ultimo nel Parlamento europeo? Non ne sono
eredi né Scalfari, né il Presidente della Repubblica, e neppure
io. Il miglior modo di rispettare i morti è non divorarli, il
che vuol dire: non adoperarli per propri scopi politici o
personali. Mi dispiace che Scalfari abbia derogato a questa
regola aurea.
Quanto al Movimento 5 Stelle, io dico che va ascoltato: senza
la sua scossa il discorso pubblico continuerebbe a ignorare la
crisi dei partiti, i modi del loro finanziamento, l’abisso che
li separa dalla loro base. Mettere il M5S sullo stesso piano di
Marine Le Pen o di Alba Dorata più che un errore è una
contro-verità. È anche un gesto di intolleranza verso chi la
pensa diversamente. In proposito vorrei dire un’ultima cosa: è
inutile e quantomeno scorretto accusare Grillo di condannare alla
gogna i giornalisti, quando all’interno d’una stessa testata
appaiono attacchi di questo tipo ai colleghi.”
Forse, la vicenda, ben al di là di ogni simpatia per i due protagonisti, offre diversi spunti di riflessione. Tanto per cominciare, ci si potrebbe convincere che al giornale fondato da Scalfari non piaccia il pensiero in movimento e in libertà. Quello, tanto per intendersi, che veicola messaggi con autentica onestà intellettuale, che raccoglie una vera istanza popolare, che si fa tramite di una reale insofferenza collettiva. E non apprezza, ancora l’Eugenio accigliato, un modello di critica che non ricalchi stancamente e ripetutamente il tracciato retorico di un opinionismo fintamente autorevole, intriso di vezzi canonici, a ostruire ad arte la circolazione delle parole che contano, che esprimono umori, che si leggono con piacere. Naturalmente, non va dimenticato che il rinomato editorialista figura come uno dei migliori comunicatori della carta stampata, certamente un osservatore che asseconda il proprio estro con studi di ricerca, riuscendo quasi sempre a conservare un ragguardevole grado di distinzione. Mi verrebbe da dire, guarda un po’, che gli autori che conoscono i segreti della scrittura hanno ragione anche quando prendono abbagli clamorosi. Per questo, io che sono sempre stato un assiduo lettore del grande maestro di Civitavecchia, voglio ricordarne esempi sintomatici di abbacinamento. Inizio dall’ottimismo celebrativo, la fiducia incondizionata e il giudizio lusinghiero che il celebre giornalista riponeva nel Pd appena costituito, tessendone, da finissimo artigiano paroliere, il prospetto di una forza moderna e progressista, innovatrice e riformista, conferendogli finanche una rassicurante capacità nel dare risposte adeguate alle esigenze comuni e nel farsi autorevole punto di riferimento per le masse. Proseguo con la promozione dell’illusione veltroniana, quando andava cianciando di una sinistra europea e al passo con i tempi. E finisco, mi pare ovvio, con l’ attualissima liturgia intorno alle figure di Enrico Letta e Giorgio Napolitano, estesa nella forma di una prudente saggezza, a difesa e a garanzia di una politica di occultamento.
E mai, in questo lungo periodo buio, che gli sia venuto in mente di
essere anti-berlusconiano in un modo diverso, che non fosse quello
abituale, espresso dalle pagine del suo glorioso giornale, dove,
negli anni, ha descritto il berlusconismo come una grottesca
mascalzonata, senza, tuttavia, registrarne l’untuosa impronta che
andava lasciando sul tessuto sociale della nazione, svilendo e
svuotando, così, una verità che forse andava raccontata in
maniera meno narcisistica e spettacolare, e più vicina alle
sensazioni popolari. Mai una volta, che avesse considerato un
errore scagliarsi sistematicamente contro il Cavaliere e i suoi
servili adepti dall’alto di una superiorità morale che sapeva di
elitarismo intellettuale (professionale), ma non di giustizia
sociale, di ordine etico, di utilità pubblica. E mai, ma proprio
mai, che avesse pronunciato opportunamente questo
nome: Enrico Berlinguer. Strano, per uno
che, sin dalla fondazione del suo giornale, è andato
costruendo la propria fortuna seguendo la scia luccicante lasciata
dalla “questione morale” posta dall’eccellente segretario del
Pci. Già, Berlinguer adottava una maniera semplice e concreta
quando poneva il suddetto tema storico, e non si
lasciava andare ad un vanitoso quanto inutile esercizio dialettico,
nel tentativo di sbeffeggiare un potere che a suo giudizio andava
soprattutto ribaltato.
I comunicatori, oggi, sono in cerca dell’effetto mediatico
anche quando la gravità di un fatto che danneggia rovinosamente
il Paese meriterebbe la più essenziale, contegnosa e
disciplinata delle analisi. Dare addosso alla signora Spinelli,
una mente convenientemente analitica, in un frangente dove la
realtà viene oscenamente analizzata da mediocrità disarmanti,
rappresenta niente altro che l’ennesima prova di forza (si fa
per dire) di un giornalismo tristemente ancorato ai gangli vitali
di un potere oscurantista, non rispettoso dell’intelligenza al
servizio dell’immediatezza, avverso alla sperimentazione della
verità con mezzi diversi da quelli predefiniti e abbondantemente
collaudati.
Qualunque osservatore che non risulti uno sprovveduto avrà
notato come lo scaltrissimo Eugenio, faccia uso di congetture di
ordine sociologico e filosofico, costruite seguendo una strategia
superficialmente riflessiva, aventi come fine ultimo un bersaglio
fisso da colpire, rappresentato unicamente dal M5s, come se si
trattasse di far fronte al male peggiore, a cui, invece, la
Spinelli ha rivolto un’attenzione costruttiva.
“Tutti ai remi per salvare la nave!” , tuonava poco tempo addietro l’ex direttore, invitando gli italiani al più assurdo e buffo dei sacrifici, sostenendo il ricorso alla pressione fiscale del governo tecnico. Passato ad essere favorevolissimo all’esecutivo delle “larghe intese”, ora appoggia, sempre con disinvoltura, quello delle intese meno larghe e più strategiche. Coerente, l’Eugenio super moderato, nella sua distanza abissale da un giornalismo illuminante, ci mancherebbe altro! Un comportamento, il suo, dato da una linea di continuità che si basa sulla condivisione dell’imposizione di nuove tasse; come se la popolazione non fosse già abbastanza stremata, come se il rimedio all’inettitudine dei governanti fosse eternamente identificabile nello sfruttamento dei cittadini. Ritengo, francamente, che viviamo una realtà dove ognuno di noi debba cercare, necessariamente, di dare il giusto valore alle cose e alle persone, nella prospettiva di non rinunciare alla possibilità di rivalutarle, o ridimensionarle. Eugenio Scalfari, ad ogni modo, è un testimone fondamentale e prezioso del nostro tempo, e per forza maggiore non può essere immune da responsabilità per la sorte che riguarda tanti italiani. Qualcuno deve pur rendergliene conto.