Ucraina, qui dove serbi e croati sono ancora in guerra

Nicole Di Giulio
27/04/2015

Ortodossi di Belgrado coi filorussi. Cattolici di Zagabria al fianco degli ucraini. Nel Donbass si replica il conflitto Anni 90. Calpestando una pace mai digerita.

Ucraina, qui dove serbi e croati sono ancora in guerra

La guerra in Ucraina va avanti da oltre un anno. E si complica ogni giorno di più.
Nelle regioni sudorientali del Paese la lotta tra l’esercito di Kiev e gli insorti continua nonostante il ‘cessate il fuoco’ stabilito dagli accordi di Minsk nel settembre 2014, poi rinnovato a febbraio 2015.
Sul suolo ucraino però si giocano tante dispute mai sopite che coinvolgono diversi attori.
CONFLITTO NEGLI ANNI 90. È qui che croati e serbi sembrano aver trovato un nuovo fronte, territorio neutro dove proseguire quella guerra che negli Anni 90 causò la morte di migliaia di persone e la distruzione di intere città.
Un conflitto per l’affermazione di identità etniche e religiose.
Oggi i croati – cattolici – combattono a fianco degli ucraini; i serbi – ortodossi – sono schierati con i separatisti filorussi.
VENTENNALE PACE DI FACCIATA. Vent’anni fa terminava lo scontro armato tra croati e serbi, ma la pace firmata tra le due parti non ha cancellato antichi dissapori.
La tensione è riaffiorata in Ucraina. Qui a imbracciare le armi ci sono sono uomini provenienti da diverse zone: dalla Cecenia alla Bulgaria, dalla Germania alla Francia. Tra questi anche serbi e croati.
Ex veterani, ma anche giovanissimi che non hanno vissuto le ostilità degli Anni 90. Un esercito formato da persone motivate da un obiettivo: affermare la propria identità.
SERBI E RUSSI, UN LEGAME ANTICO. Una presenza, quella serba, dovuta a diversi fattori.
La Serbia ha uno storico e solido legame con la Russia.
Mosca ha sempre protetto l’alleato: basta pensare al primo conflitto mondiale quando lo Zar Nicola II mobilitò l’esercito per rispondere alla dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico nei confronti della Serbia.
Negli Anni 90 la Russia non solo finanziò l’esercito di Belgrado in chiave anti-croata, ma inviò soldati ad appoggiare le truppe serbe guidate da Radovan Karadzic. Un filo rosso lega quindi Mosca e Belgrado, un filo che si è rinsaldato proprio in Ucraina.

 

Sangue e morte: «Serbi e russi sono fratelli per sempre»

«Serbi e russi sono fratelli per sempre». È l’ultimo post su Facebook di Bratislav Živković, comandante della brigata Jovan Šević.
Sulla sua pagina tante foto ritraggono questo uomo grosso con dei folti baffi che sventola una bandiera nera con un teschio.
È il simbolo dei cetnici, movimento ultranazionalista serbo nato durante la Seconda guerra mondiale. Sangue e morte. Sono le parole d’ordine delle squadre di Živkovic.
NOSTALGICI E MERCENARI. La brigata Jovan Šević opera prevalentemente nella regione di Donetsk e Lugansk. I circa 250 combattenti che la compongono sono in parte nostalgici della guerra, uomini pronti alla morte pur di annientare non solo gli ucraini, accusati di essersi venduti all’Occidente, ma anche gli storici nemici croati.
Non mancano però mercenari, pronti a mettere le loro competenze militari al servizio dei separatisti filorussi in cambio di soldi.
IL RITORNO DEI CETNICI. I cetnici, che ancora oggi venerano la famiglia Romanov e l’Impero russo, ambiscono alla creazione della Grande Serbia.
Il loro sogno non è mai venuto meno, neanche sotto la Repubblica federale socialista guidata da Tito che li mise fuori legge.
Nel 1989, quando la Jugoslavia si stava disintegrando, questo movimento trovò un solido alleato nel nuovo presidente serbo Slobodan Milošević.
Guerrieri spietati, massacrarono musulmani e croati per creare una Serbia etnicamente pura.
Ora sono tornati, in Ucraina.
I cetnici sono stati molto attivi in Crimea dove hanno sostenuto il referendum per la separazione dall’Ucraina.
Le loro bandiere nere sono entrate nelle chiese ortodosse.
KALASHNIKOV E SAN NICOLA. I comandanti ultranazionalisti serbi sono stati fotografati mentre in mano, insieme al kalashnikov, tenevano quadretti con l’immagine di San Nicola e altri santi.
Nel marzo del 2014, pochi giorni prima del referendum, Milutin Malisic, leader dei cetnici in Crimea, ha detto: «Il nostro obiettivo è quello di sostenere il popolo russo in nome del popolo serbo».
Le milizie serbe sono adesso impegnate nell’Ucraina orientale, prevalentemente nel Donbass dove a combattere non ci sono solo ucraini, ma anche volontari provenienti dalla Croazia.

Donbass, i volontari croati che non violano le leggi sul terrorismo

Tra i tanti combattenti stranieri ci sono anche cittadini croati.
A febbraio il ministro degli esteri croato Vesna Pusic ha detto: «Alcuni nostri soldati stanno combattendo in Ucraina a fianco dell’esercito di Kiev».
Su quanti siano i foreign fighters croati però il ministro non si è sbilanciato.
Quello che Pusic ha sottolineato è che i suoi concittadini non avrebbero violato alcuna legge in materia di terrorismo.
I croati infatti sarebbero andati a ingrossare le file del Battaglione Azov, unità paramilitare vicina a Pravy Sektor, l’estrema destra ucraina.
RECLUTATI SU INTERNET. Un gruppo che non è considerato terroristico dall’intelligence di Zagabria, esercito formato da volontari stranieri che vengono reclutati via internet.
Sulla pagina Facebook del Battagione Azov, tradotta anche in spagnolo, francese, italiano, vengono elencati gli esercizi che i neofiti devono compiere per andare in trincea.
Il nuovo test che le reclute devono passare si chiama Azov Spartan e consiste in una marcia di 10 chilometri, seguita da 2,5 chilometri con uno zaino di 70 chili sulle spalle per poi strisciare per 70 metri con lo zaino e tornare indietro.
Inoltre è richiesta capacità di resistenza a stress fisico e psicologico.
UNA IDEOLOGIA RAZZISTA. Combattere con Azov significa abbracciare un’ideologia di estrema destra, nazionalista e razzista.
I nemici sono i “neobolscevichi”e gli “euroasianisti”. Così vengono definiti i separatisti delle regioni autoproclamate di Donetsk e Lugansk.
Tra i più fervidi militanti croati c’è Denis Šeler, ex capo dei Bad Blue Boys, gli ultrà della Dinamo Zagabria.
Nel 2014, prima di aderire al Battaglione Azov, Seler ha ha affermato in un tweet: «Il conflitto in Ucraina è l’ultimo fronte della destra cristiana in Europa».
SOGNANDO LA RIVINCITA. Per lui l’Ucraina rappresenta il terreno dove la rivincita verso i serbi è possibile. Il campo da guerra dove riaffermare i principi cattolici contro quelli ortodossi.
Nemici giurati dei nazionalisti croati però sono anche gli Stati Uniti e l’Europa.
«Sta andando avanti una silenziosa aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, simile a quella che abbiamo sperimentato nel 1991», ha affermato sempre Šeler affidandosi ai social network.
IL FAVORE VA RICAMBIATO. «I volontari se ne sono accorti e per questo sono partiti per aiutare gli ucraini». Durante la guerra degli Anni 90 molti ucraini accorsero a sostegno dei croati e per Šeler il favore va ricambiato.
A 20 anni dal conflitto in Jugoslavia, serbi e croati si scontrano ancora. L’artiglieria e i colpi dei kalashnikov continuano a farsi sentire. Non siamo né Belgrado né a Zagabria, ma nella città portuale di Mariupol, nell’Ucraina sudorientale.